2004年12月14日

Ibrahimovic: lavoro per diventare il n.1

«Il mio obiettivo è essere il migliore al mondo, il resto non mi interessa Mi alleno per perfezionare il tiro in porta, anche se non bastano i gol per sentirsi importanti. I miei modelli? Ronaldo, Ronaldinho e Henry»

10 dicembre 2004
 
di Marco Ansaldo
 
TORINO
«Voglio diventare il migliore del mondo». Zlatan Ibrahimovic non si spaventa delle proprie ambizioni, anzi le coltiva come una sfida soprattutto con se stesso. Le gambe lunghissime sono rannicchiate nella fila troppo ravvicinata dei sedili sull’aereo di ritorno da Tel Aviv. Zlatan non ha mai amato parlare troppo di sè ma questa volta gli tocca. In tre mesi scarsi è diventato il simbolo della Juve di Capello: forse perchè porta le stimmate della novità, forse perchè è davvero «un giocatore che stordisce» come ha commentato mercoledì sera Strool, il difensore del Maccabi che se l’è trovato davanti per pochi minuti. «So che Nedved mi ha fatto un complimento - esordisce lo svedese -. Lui dice che quest’anno il Pallone d’Oro può vincerlo Shevchenko ma dopo toccherà a me. Lo considero un augurio e un impegno».

Sarà quello l’obiettivo per il futuro?
«In tutte le cose che faccio e dovunque le faccia, io devo essere il numero 1. Che gusto c’è a essere il secondo? Quindi io sto lavorando, e molto, per diventare il migliore».
Qual è il metro di misura per sapere che si è il più bravo?
«La capacità di fare la differenza in una partita. Quello è il criterio, secondo me. Più ancora di quanti gol si segnano».

Esempi?
«Ronaldo, il mio idolo delle passate stagioni. Oggi Ronaldinho o Thierry Henry».

E in Italia?
«La sorpresa è Adriano, che non conoscevo a fondo. Lui è uno che fa la differenza nell’Inter, anche se per misurare la bravura bisogna sempre considerare la squadra in cui si gioca».

Per molti, lei fa la differenza nella Juve. E’ d’accordo?
«Non posso dirlo io, anche se accetto i complimenti. Mi state scoprendo? Capisco che prima di venire alla Juve io fossi soltanto quello che aveva segnato il gol con il tacco all’Italia».

A proposito. I suoi compagni non glielo hanno mai rinfacciato?
«All’inizio mi facevano delle battute, soprattutto Cannavaro e Buffon. Ora è passata».

Sette gol in 14 partite di campionato sono una media alta per uno che non ha mai segnato molto. E’ diventato più facile farlo in Italia che in Olanda?
«No. Semplicemente sto maturando e mi alleno più di prima a tirare in porta: è un miglioramento che vedo giorno per giorno. Sono soddisfatto di me. Era il mio tallone di Achille, o almeno lo dicevano gli altri perchè, lo ripeto, un giocatore può essere importante e decisivo indipendentemente da quanti gol segna».

E’ seccato di essere rimasto in panchina a Tel Aviv, con poche possibilità di segnare il primo gol in Champions League?
«Non mi piace stare fuori. Però sono un professionista che accetta le scelte del’allenatore, come fanno alla Juve tutti quelli che vanno in panchina quando gioco io».

Lei disse, un paio di anni fa, che il suo sogno era giocare in Spagna. Lo pensa ancora?
«Veramente dissi che sognavo di giocare in un campionato importante: Spagna, Italia, Inghilterra era la stessa cosa. Mi affascinava l’idea. Non lo sarebbe stato continuare nel calcio olandese».

La differenza è così grande?
«Io rispetto tutti ma lì c’erano partite, come con il Groningen, dove l’Ajax vinceva 5 o 6 a zero. In Serie A ho giocato 14 partite con la Juve e non è mai successo di vincere con quella facilità: è un calcio più duro, più fisico nei contrasti. Si lotta di più e a me piace moltissimo, anche se ci si stanca».

Anche nell’Ajax giocava ogni tre giorni.
«Succedeva nei periodi di Coppa. Ma non c’erano le partite infrasettimanali di campionato e il resto. La fatica si sente e c’è lo stordimento di queste trasferte: ti senti un po’ sballottato persino quando giochi poco, come è successo a me. Ma io mi ricarico in fretta. Un paio di allenamenti e sono pronto per Bologna».

La gente però pensa già al Milan. E’ sbagliato?
«Fa parte dell’approccio italiano al calcio ed è un modo molto vicino alla mia mentalità. Si pensa alla sfida più grande, ci si prepara per mesi. Mi piace. Ma, da calciatore, il mio pensiero deve fermarsi alla prossima partita».

E in Champions League? Cannavaro e molti suoi compagni vorrebbero evitare il sorteggio con il Barcellona. Lo pensa anche lei?
«A me non importa nulla. Ci toccherà sicuramente un’avversaria molto forte perchè il gruppo delle seconde vale almeno quanto quello delle prime: saranno comunque grandi partite, quelle in cui mi piace esserci. E il problema, penso, è di chi dovrà affrontare la Juve».

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